Gesù bambino quest'anno è nato prima

Nascita anticipata, per il povero Bambinello. Stamattina a Gaza. Una nascita anticipata che è anche un simbolo, per chi ci crede, della tragedia umana. Pensieri un po' tristi (e indignati) alla vigilia dell'ennesimo Natale senza pace per questa terra.

Non è una frase a effetto. E’ uno degli epifenomeni di questa realtà. Gesù Bambino anticipa la sua nascita a Gaza. E non certo per questioni di fuso orario. Non nasce nella notte del 24 dicembre, ma nasce stamattina nella piccola comunità cristiana di Gaza, dove il patriarca di Gerusalemme Fouad Twal va a celebrare la Messa di Natale, accompagnato dal nostro buon Abuna Mario. Questioni legate alla sicurezza, ai calendari, agli impegni? Decidetelo voi. Io penso al fatto in sé. Al fatto che Gesù Bambino nasca per primo a Gaza, e qualcosa vorrà pur dire, oltre al semplice dato di cronaca.
Vorrei che di Gaza ci si ricordasse di più, e che questa nascita anticipata rispetto al tempo canonico (per chi ha fatto figli, la terminologia da usare sarebbe quella del parto procurato per evitare pericolose controindicazioni…) dicesse qualcosa di più. Non solo rispetto alla piccola comunità cristiana della Striscia, ma rispetto a tutta la popolazione di Gaza, a quel milione e mezzo di persone composto in grandissima parte da bambini. A quei Bambini Gesù vorrei fosse dedicato questo ennesimo, strano Natale, fatto di razzi artigianali, fatto di pesanti raid aerei che rompono la notte e il giorno di un pezzo di terra largo dieci chilometri e lungo quaranta. Vorrei dedicare a loro i presepi che si fanno, qui a Gerusalemme, senza nessun problema per i musulmani che le frequentano. Perché non solo il Vangelo celebra la nascita del Bambinello, ma anche il Corano. L’uno, il Vangelo, celebra la nascita del Figlio di Dio. L’altro, il Corano, la venuta di uno dei massimi profeti, Gesù, Issa figlio di Maria, Issa bin Mariam, e chiede “pace” nel giorno della sua nascita (così recita la sura XIX).
Quel Bambino Gesù, insomma, è sacro ai palestinesi di fede cristiana. Ed è parte integrante anche dell’islam palestinese, non foss’altro perché questa terra gli ha dato i natali.
I raid di questi giorni e di queste notti su Gaza ricordano troppo l’escalation di due anni fa. Mentre ieri sera si celebrava un bel concerto per la pace a Betlemme, nella chiesa di Santa Caterina, suonato da giovani musicisti, il servizio di notizie sms comunicava che c’erano stati feriti in un bombardamento aereo. Giù, a Gaza.
La pace è un bel sogno, ma soprattutto – da queste parti – è una parola abusata. Retorica, senza rapporto tra il suo significato profondissimo, e la realtà. Certe volte, a pensarci, mi vien la nausea.

Paola Caridi
da Invisiblearabs

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