Il ruolo dei cattolici e dei moderati nel Pd: una discussione aperta e necessaria

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Vi sono alcune considerazioni che appartengono prima alla logica che alla politica: negli ultimi mesi di fronte alla crisi irreversibile di Berlusconi e del suo Governo, con un calo dei consensi fino al 10%, la cifra di elettorato che guarda con fiducia al Partito Democratico non si è spostata, anzi tiene la quota delle Europee con qualche difficoltà. La gente è delusa, vede chiaramente il fallimento politico e etico dell’attuale maggioranza, la sua incapacità di affrontare le questioni cruciali e più urgenti del Paese, dilaniandosi in una campagna di accuse e veleni senza precedenti e senza vergogna, ma alla domanda di politica seria che esiste nel nostro Paese e in Lombardia in particolare, il PD non è in grado di proporre un’offerta condivisa e credibile.
La proposta allora, all’interno della Festa democratica provinciale di Osnago, di riscoprire il ruolo del popolarismo e dei moderati nel PD, sabato 4 settembre alle 10, con la presenza di Fioroni, Ceruti (estensore del manifesto dei valori del PD), Brivio e Spreafico, non vuole e non può essere un’operazione nostalgica o peggio di rappresentanza correntizia, ma cerca di riflettere, rispondere a quello che è stato chiamato il disagio dei cattolici, riscoprire le ragioni per cui il PD è nato, comprendere come la vittoria di Brivio e del PD a Lecco parta anzitutto dalla capacità di offrire candidature, programmi che hanno riscosso consenso e credibilità trasversalmente nei vari mondi, erano e sono un progetto per governare la città.
E’ stato autorevolmente detto in questi giorni che “solo la buona politica potrà scacciare la cattiva” e forse dobbiamo avere il coraggio di ripartire dalla fondazione del PD, dal progetto di Veltroni (da me appoggiato con entusiasmo, pur provenendo da storie diverse), ovvero dalla capacità di tradurre in identità politica quel manifesto dei valori che raccoglieva con profondità sì le sintesi e le ispirazioni di storie politiche radicate nella Costituzione, ma anche attese, purtroppo in gran parte deluse in questi due anni, di cittadini che chiedevano una domanda di politica veramente innovativa e riformatrice, in grado di governare questo Paese distaccandosi da una Sinistra protestataria e l’incapacità invece del PD nazionale e lombardo di proporre un’offerta di politica che rispondesse all’entusiasmo iniziale che, attraverso le primarie, aveva superato ogni ottimistica previsione dei nostri dirigenti nazionali.
Era la consapevolezza che la sola somma per difetto dei precedenti partiti era sì una forza, ma anche un limite, ci consegnava ad una minorità evidente, quasi ad una rassegnazione all’onorevole sconfitta.
Rilancio dunque non solo la possibilità, ma la necessità del progetto politico del PD, nato in Italia e il più innovativo in Europa, il percorso invece che negli ultimi mesi si sta realizzando è esattamente il contrario, ovvero importare in Italia una nuova socialdemocrazia e se questo avvenisse sarebbe la fine politica del PD.
Quando D’Alema sollecita fortemente un’alleanza con l’UDC per coinvolgere il mondo cattolico e moderato, disconosce il ruolo del popolarismo e di imprenditori, professionisti, docenti universitari, migliaia di semplici cittadini che si sono riconosciuti in un PD che non rappresentasse solo la Sinistra e rinnega il senso profondo di un partito che fin dalla nascita ha concepito il suo pluralismo interno (penso alle culture liberali, repubblicane…), come una grande opportunità e non come un ostacolo alla definizione della sua identità.
Non è dunque possibile arrenderci o accettare le recenti considerazioni di Michele Salvati (non certo un popolare…) che pensa che in conseguenza dell’attuale linea, il PD “è destinato a spaccarsi o a perdere la sua componente centrista”. Sarebbe, a mio parere, una grave sconfitta, non per i leader o le singole storie personali, ma per i destini dell’intero Paese. Un partito è cultura, valori e progetti, programmi, suscita speranza ed entusiasmo, è pathos, fa storia.
Non si costituisce dunque solo con i vecchi organigrammi o alzando i toni della polemica berlusconiana, o peggio, rimpiangendo il vecchio Centro-Sinistra con i ministri che “scioperavano” contro il Governo.
Il PD deve essere un progetto che va al di là e oltre Berlusconi e l’attuale struttura del Centro-Destra, perché il nostro Paese ha la necessità di costruire un forte partito riformista di Centro-Sinistra.
Il convegno del 4 settembre ha dunque anzitutto lo scopo di ripartire da quel manifesto costitutivo, cercando di valorizzare di più nel nostro territorio le ragioni della vittoria di Brivio e di un PD cittadino, realmente aperto a tutte le componenti e alla società civile, capace di attrarre giovani di valore a scommettere la loro credibilità nell’impegno politico. Un esempio fondamentale per riprendere il progetto originario è il tema del lavoro, sicuramente il più importante oggi nel nostro Paese, laddove il problema è quello della difesa e della valorizzazione del lavoro in ogni sua forma e dimensione, il lavoro autonomo come quello dipendente, con l’impegno dei nostri amministratori a mantenere e sostenere sul territorio tutte le attività produttive, ad affrontare temi coraggiosi e ineludibili come quello dei lavoratori “precari” senza alcuna tutela come ho fatto appoggiando alcuni disegni di legge di Pietro Ichino.
Abbiamo dunque bisogno di discutere per riconquistare i voti dei delusi di Berlusconi che capiscono che la Lega urla promesse, ma poi non solleva la questione dirimente per il federalismo delle Regioni a Statuto speciale e vota i contributi straordinari a Catania e a Roma, abbiamo bisogno di un partito dove tutte le culture abbiano piena cittadinanza e non siano ospiti, abbiamo bisogno di guardare avanti e non di tornare indietro.

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