Caso Celentano, una collettiva perdita di senso

Abbiamo cullato per un po’ l’illusione d’essere diventati di colpo un paese normale, ma la solita polemica scema sul festival di Sanremo ci riporta all’umile realtà. Scema, più scema. Anzi, di colossale idiozia. Accade che Adriano Celentano spari la consueta salva di baggianate e in un paese dove nulla è più indispensabile del futile si scateni un'ondata di reazioni. Gravi, indignate, plaudenti, pro o contro, ma sempre sciocche. Dai vertici Rai, dalla politica, dal giornalismo e finanche dalla Chiesa, che nella nostra ingenuità laica credevamo comunque un'organizzazione di gente seria.
Il record assoluto di apnea del pensiero è stato raggiunto dal direttore generale della Rai, incredibilmente la signora Lorenza Lei, la quale ha commissariato il festival attraverso la nomina a supervisore di Antonio Marano, braccio televisivo della Lega, uno che a non conoscerlo è inutile descrivere. Il personaggio del commissario al festival della canzonetta è una trovata che non sarebbe venuta in mente neppure agli sceneggiatori del cinema demenziale sotto effetto di funghi allucinogeni. Ora immaginate da stasera il povero Marano, si suppone dotato dello stesso impermeabile dell'ispettor Clouseau, che si aggira circospetto nei camerini, intento a censurare i copioni. Dopo averli decifrati, che già è difficile. Un'altra bordata di fesserie celentanesche e forse Morandi sarà costretto a salire sul palco scortato da due carabinieri come Pinocchio, mentre la Celere presidia le curve dell'Ariston e gli elicotteri dell'esercito sorvolano i cieli della Riviera.
Al secondo posto, per insensatezza, si piazza la reazione delle gerarchie ecclesiastiche. Il comunicato dei vescovi, il battaglione degli opinionisti cattolici e lo stesso stimabile direttore di Famiglia Cristiana, don Sciortino, che addirittura lanciano al Molleggiato una sfida sul piano della disputa teologica. Una cosa da far morire dal ridere i teologi veri, come Joseph Ratzinger. A ben pensarci, potrebbe essere anche questo l'attentato alla vita del papa di cui si favoleggia da qualche giorno.
Nella generale perdita di senso dell'umorismo e forse di senso e basta, conforta l'assenza (per ora) di repliche da parte della Consulta, altro bersaglio dell'invettiva ignorante. Almeno i giudici della Corte costituzionale avranno capito che Celentano non sapeva di cosa stava parlando. Era evidente che il trio composto dall'impagabile filosofo della via Gluck, il leggendario Pupo e Gianni Morandi, discettava della Consulta, come di tutto il resto, senza sapere bene se si trattasse di un organo istituzionale, un modello Fiat - la famosa Consulta turbo con quattro ruote motrici – o una olimpionica di sci nordico.
Ma nonostante tutto, grazie Celentano. Massì, perché sia pure attraverso uno dei più brutti pezzi di televisione della storia, il caso Celentano ha illuminato il caso Rai. La mediocrità, l'ipocrisia e l'inadeguatezza dell'attuale vertice della tv di Stato. Un governicchio da quattro soldi, ultima eredità miserabile del berlusconismo, buono a nulla e impaurito da tutto, che prima specula sulla popolarità di Celentano per risollevare un'azienda ridotta all'orlo del fallimento e poi non trova né il coraggio di difendere le proprie scelte né quello di cambiarle fino in fondo. Grazie Celentano anche per averci ricordato quanto sia stato straordinario il discorso di Roberto Benigni l'anno scorso. Perché non basta ottenere l'identico contratto per esprimere lo stesso livello artistico. L'intelligenza, la cultura, il gusto non sono la risultante di codicilli burocratici.
E grazie Adriano perché, se predichi come un prete furbo, canti ancora da dio. Insomma un mestiere almeno lo sai fare alla grande. Ma il direttore generale Lei, il commissario Marano e il vice commissario Mazza, tutti questi raccomandati di partito, quando ne impareranno uno decente?

Curzio Maltese,
da Repubblica.it

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