Il mercato è chi fa marketing

Perchè non si sentono voci alternative al liberismo?

Un congruo periodo dopo la “rivoluzione liberale” di Reagan e della Thatcher, molti si aspettavano che il pendolo del mondo tornasse su posizioni più sociali e solidali. Invece a trent’anni di distanza, nonostante qualche speranza dopo l’elezione dell’afro-americano Obama, nonostante la grande crisi in cui siamo caduti, non sembra di poter scorgere nel mondo un deciso superamento del liberismo – che certamente è una causa non secondaria della crisi stessa. Si vorrebbe qui riflettere su un aspetto, spesso dimenticato, che peraltro ha la qualità di negare la teoria economica su cui si appoggia la validità dello stesso liberismo. Si tratta delle attività di pubblicità e marketing, oggi pacificamente accettate come qualcosa che “fa ormai parte della nostra vita”. Ebbene hanno la specifica funzione di modificare le scelte dei consumatori, orientandoli verso i prodotti reclamizzati. In tal modo però cadono due ipotesi alla base della teoria liberista: quella della libera concorrenza (perché la pubblicità crea potere di mercato) e quella della indipendenza tra domanda e offerta (perché la domanda viene influenzata dal produttore-reclamizzante-offerente, talvolta fino al punto di creare nuovi bisogni indotti).
Quanto in profondità possano incidere i singoli messaggi pubblicitari e i meta-messaggi da essi derivanti, è stato da tempo dimostrato dagli studiosi. La cultura dell’avere, oggi imperante, è la risultante di tanti messaggi che promettono di poter raggiungere la felicità attraverso il denaro e gli acquisti, anziché la coltivazione di più corretti rapporti interpersonali. Le conseguenze della cultura dell’avere e dell’individualismo potrebbero essere tragiche, ma ancora più forse lo sono quelle della cultura della dipendenza, che deriva dalla spinta ad affidarsi ad altri, al mercato, a sostanze, per risolvere i propri problemi (anche esistenziali). Il marketing ha saputo da tempo trovare strumenti di convinzione ben più profondi e incisivi della pubblicità. Gli stili di vita sono imposti da filmati, romanzi, immagini, notizie, così come vengono vagliate e proposte quotidianamente dai media. Ecco perché il controllo dei media - anzitutto di quelli “passivizzanti” come la televisione - è così ambìto dai poteri economici e politici: consente di conquistare e mantenere un potere reale sull’opinione di tutti noi. Se si può trasmettere una cultura dell’avere o della dipendenza, ancor più facile sarà convincere che “il mercato”, composto dagli stessi consumatori, fa sempre le scelte migliori e ha sempre ragione – tesi di fondo del liberismo.
Ma cos’è il mercato? Se è vero quanto sopra sostenuto, che il mercato è influenzato dai media, si può concludere che dietro il mercato non ci sia altro che gli stessi poteri che dominano l’economia e la politica, e ovviamente anche i media stessi. Del resto è del tutto plausibile che le scelte del mercato vengano sostenute come le migliori possibili… da chi le ha determinate. Nel campo politico questo processo diventa populismo: far credere che le scelte autocratiche siano effettuate dallo stesso popolo. Nel campo economico in più c’è la globalizzazione delle informazioni e della finanza. La speculazione finanziaria consente guadagni strepitosi a chi ha fiuto, appoggi, fortuna, ma soprattutto molto denaro, così da poter incidere sul mercato. Ecco perchè, chi è più ricco e dispone delle informazioni che contano, ha maggiori probabilità di moltiplicare la propria ricchezza. Da qui il sempre più stridente squilibrio nella distribuzione della ricchezza nel mondo, tra pochi straricchi e una base di affamati. Questi ultimi, informa la FAO, in seguito alla crisi, sono aumentati di 100 milioni nell’ultimo anno, raggiungendo così il miliardo di persone.
Compiti della politica. Volendo riflettere ulteriormente sul mercato, bisogna riconoscere che questo miliardo di affamati non costituisce certo un mercato interessante per il potere. Il quale fa altre scelte. Preferisce, ad es. continuare a tenere suv che fanno 4 km con un litro. Non ci siamo dimenticati la politica dei Bush, quella che affermava “coraggiosamente” che il tenore di vita degli americani non si tocca, mettendo al di sopra di tutto gli interessi supremi… dei petrolieri. Le alternative e le innovazioni non gradite vengono accuratamente acquisite e accantonate. Poi si tira fuori la teoria liberista e si dice che queste sono le scelte del mercato sovrano. L’attenzione ai più poveri, alle innovazioni utili come le energie rinnovabili o il risparmio energetico, la tutela dell’ambiente e della salute sono altrettanti esempi di cose necessarie che il mercato non fa: le deve fare la politica, anche con incentivi per accendere l’interesse del mercato stesso, là dove manca.
In definitiva, chi si attendeva un risveglio di socialità e democrazia trent’anni dopo l’intelligente ed efficace rivoluzione liberale di Reagan e Thatcher ha forse sottovalutato la capacità dell’ideologia liberista di prolungare sé stessa, anzitutto grazie al controllo dei media. L’ “one way” liberista è ormai un dogma proposto da quasi tutti i grandi media mondiali. Solo il contatto con certe realtà sgradevoli - fame, ambiente, guerre, immigrazione, squilibri, crisi economica… - può scuotere le coscienze e opporci alla mentalità corrente. L’educazione potrebbe essere il luogo privilegiato per far prendere le distanze dalla cultura dominante, ma c’è il tentativo di ricondurre anch’essa alla logica economicista e normalizzatrice dell’ “one way”. Coloro che vi si oppongono possono dividersi, oltre che sulla rispettiva importanza da attribuire ai temi sopra elencati, anche sulle motivazioni: politiche, religiose, etiche, ecc. Mai come oggi è necessario superare ogni divisione e sollecitare un sussulto di coscienza per opporsi all’imbarbarimento soffuso che altrimenti ci spetta.

Luigi De Carlini

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