L’Europa così non va

L’Europa è malata. Se non guarisce, sarà un disastro per molti, di certo per l’Italia. Abbiamo fatto i compiti a casa – una manovra con pesanti costi sociali e un deficit aggiuntivo di equità – ma non erano sufficienti. L’Europa deve dare una risposta “comunitaria”: altrimenti non avrà riparo dalla speculazione.
Per una volta i mercati puniscono l’egoismo nazionale e la torsione intergovernativa dell’Unione. Soprattutto giudicano sbagliata e inconcludente la politica che la Germania, da Paese leader, sta imponendo all’intera Europa. Il rigore di bilancio, non accompagnato da interventi per la crescita, produce recessione, anzi depressione.
Ormai tutti, dall’amministrazione Obama ai commentatori del Financial Times, giudicano suicida la politica economica europea. Ma poco o nulla si muove. L’ultima riunione di Bruxelles sul Trattato europeo per il fiscal compact (patto di bilancio) è stata positiva: alcune proposte italiane si sono fatte strada e, ancor più, hanno raccolto consenso alcuni emendamenti del Parlamento europeo, oggi il presidio più avanzato dell’Europa comunitaria. Tuttavia restiamo sempre al di sotto della linea di galleggiamento.
Il Trattato, così come è scaturito dal vertice del 9 dicembre, è un danno ulteriore. Ha fatto bene Hollande, candidato socialista all’Eliseo, a dire che in quella forma non intende ratificarlo. Alcune correzioni sono necessarie: il testo va ricondotto alle procedure di bilancio esistenti, a cominciare dal cosiddetto Six Pack; il percorso di risanamento dei Paesi più indebitati deve tener conto della congiuntura economica; la procedura sanzionatoria deve avvenire all’interno degli organi comunitari; soprattutto il potere dei governi deve essere temperato da quello della Commissione e dell’Europarlamento. Ma, anche se la Germania fosse costretta da un numero crescente di Paesi a retrocedere dai suoi propositi ultra-rigoristi e intergovernativi, è chiaro che per il rilancio dell’Europa occorre altro.
Serve un cambio di passo. Bisogna aprire la strada ai veri Eurobond perché senza una messa in comune del debito pubblico, o almeno di parte di esso, gli speculatori non crederanno mai che l’Europa esiste davvero. Bisogna incentivare gli investimenti in infrastrutture e innovazione, liberandoli dai più stretti vincoli di bilanci (proposta delle forze progressiste europee). Bisogna quanto meno che alla politiche restrittive imposte ai Paesi debitori (tra questi l’Italia) corrispondano politiche espansive nei Paesi più virtuosi: ci sarebbe almeno un po’ di compensazione nella bilancia commerciale. Senza questa svolta, la malattia ucciderà il malato. Il rigore da solo non basta, come dimostra la Grecia. Come si può pensare che l’Italia rientri dal debito con manovre draconiane, anno dopo anno, non avendo neppure la garanzia che l’Europa reggerà nel tempo, che si avvierà una politica anti-recessiva, che la Bce assicurerà maggiore liquidità e il Fondo salva-Stati maggiore copertura?
Il premier Monti ha cominciato da Sarkozy il suo giro europeo, anche per esercitare una pressione sulla Merkel. Il governo italiano nel negoziato sul Trattato è il più vicino alle posizioni dell’Europarlamento. Questo è l’interesse nazionale. Ma non basterà la real politik: il progetto europeo va rilanciato come priorità politica. I danni del governo Berlusconi sono stati ingenti. Monti può colmare, almeno in parte, lo spaventoso deficit di credibilità accumulato. La vera partita dell’Europa tuttavia si giocherà nelle elezioni di Francia, Germania e Italia. Le forze progressiste devono costruire un programma comune. Un programma di integrazione europea, senza riserve. Come nessuno ha avuto mai il coraggio di fre nel passato. Non c’è salvezza senza una chiara, esplicita scommessa nell’Unione. C’è invece il rischio concreto della fine dell’euro e dell’Europa. Speriamo di arrivare alle tornate elettorali senza che sia compromessa definitivamente la possibilità di un futuro diverso.

Claudio Sardo
da l'Unità

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