Incubo seconda Repubblica

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L’attuale legge elettorale «ha un grande pregio perché garantisce la governabilità». Sembra incredibile, ma il segretario del Pdl Alfano ha detto proprio così. Come se mancasse dall’Italia dal 2006. Come se il Porcellum avesse garantito a Prodi l’intera legislatura, come se Berlusconi fosse ancora in sella, soprattutto come se questi governi avessero ben funzionato.
Dopo la sentenza della Consulta sui referendum, si sta aprendo il confronto tra i partiti sulla riforma elettorale. Si può forse capire una prudenza iniziale del segretario del Pdl. Ma ciò che allarma è l’enorme scarto tra l’ideologia (purtroppo dominante nella Seconda Repubblica, anche in parti della sinistra) e la realtà. Allarma perché non si può tornare a votare con il Porcellum, pena un’ipoteca fallimentare sulla prossima legislatura. E neppure ha senso fare una riforma senza uscire dalla Seconda Repubblica, che ha portato tanto discredito alla politica e il Paese sull’orlo della bancarotta.
L’Alfano intervistato dal Corriere è invece interamente dentro il modello fallito. Quando dice governabilità intende «premio di maggioranza» (un istituto che non ha uguali in Occidente e sul quale la Corte ha già espresso, in una sentenza del 2008, un dubbio di costituzionalità). E anzi propone di raddoppiare i premi «nazionali»: non solo alla Camera ma anche al Senato (nessuno osa immaginare cosa potrebbe accedere se una coalizione vincesse il premio alla Camera e la coalizione antagonista quello al Senato). Ma non finisce qui. Alfano avverte infatti che il Pdl mai consentirà di cancellare «il diritto dei cittadini a indicare il premier», perché quello sarebbe un ritorno alla Prima Repubblica.
È il limite di ogni ideologia rifiutare il confronto con la realtà. Per questo è probabilmente inutile opporre l’argomento che in ogni Paese, qualunque sia il modello, il candidato premier è noto agli elettori, ma in nessun sistema parlamentare l’indicazione viene sottoposta ad una ridicola procedura come quella prevista dal Porcellum. Peraltro il fatto che sia ridicola, oltre che penosa, è dimostrato oggi dalla nascita del governo di Mario Monti, che nessuno ha indicato alle elezioni e la cui legittimità non è contestata neppure da Alfano. Cosa si teme? Che qualche partito possa nascondere ai cittadini la notizia del proprio candidato premier? Il problema semmai è consentire, come nel resto d’Europa, al partito più votato di formare attorno al proprio candidato una coalizione funzionante.
Nell’ideologia della Seconda Repubblica il premio di maggioranza e l’indicazione del premier sono stati in realtà funzioni di un presidenzialismo all’italiana, tanto esplicito nella propaganda quanto incompatibile con la Costituzione. In nessun Paese occidentale esiste il maggioritario di coalizione, in nessun Paese le elezioni legislative sono raccontate come elezione diretta del premier, in nessun Paese democratico è negato ai partiti il ruolo di mediazione nelle istituzioni. Bisognerà costruire un compromesso, certo. Ma, se non si esce dalla Seconda Repubblica, sarà come non fare nulla. C’è bisogno di laicità rispetto alla «religione del maggioritario»: perché il bipolarismo può essere più forte se liberato dalla tenaglia tra leadership personalistiche e coalizioni coatte. I partiti vanno rinnovati. Ma si possono rinnovare solo se riacquisteranno il ruolo che la Costituzione assegna loro.
Pochi partiti, democratici e non personali, possono dar vita a una competizione elettorale di tipo europeo e poi comporre in Parlamento un governo stabile. A condizione che si elimini l’imbroglio di affidare la stabilizzazione dei governi alla legge elettorale. Ci vuole la sfiducia costruttiva.

Claudio Sardo

da l'Unità


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