Per fortuna Renzi ha vinto ma ci sono altri esami da superare


SPERAVO che Renzi vincesse le elezioni europee ed anche le amministrative abbinate ad esse in due Regioni e in migliaia di Comuni sparsi in tutta Italia. Lo speravo e l’ho scritto nelle ultime due domeniche suscitando una certa sorpresa in molti miei amici e lettori che conoscevano la mia diffidenza nei suoi confronti. Ho spiegato le ragioni di quella scelta: il pericolo per la democrazia italiana e per l’Europa era Grillo e Renzi era il solo che potesse batterlo; i sondaggi li davano testa a testa e i più ottimisti tra noi avrebbero sottoscritto a due mani una sua vittoria anche con quattro o cinque punti di vantaggio, ma nessuno, neanche lui, credeva che lo scarto sarebbe stato di venti punti, esattamente il doppio. Impensabile: il Pd al 41 per cento dei votanti, il più forte partito europeo eletto col sistema proporzionale senza un premio di maggioranza che rafforzasse il vincitore.

Sono stato e sono contento. A parte la Democrazia cristiana di De Gasperi e di Fanfani, nessuno era arrivato a quel livello. Se guardiamo alle cifre assolute anziché alle percentuali, il Pd alla sua prima uscita elettorale guidato da Veltroni aveva avuto anche più voti di domenica scorsa: con il 34 per cento aveva incassato 12 milioni di voti, Renzi ne ha avuti 11 milioni. Ma Berlusconi ne prese allora molti di più. Queste comunque sono le cifre e bisogna rifletterci sopra studiando i flussi che hanno prodotto questo risultato.

Dunque: tutti i partiti hanno perso voti sia in rapporto agli elettori con diritto di voto sia agli elettori andati alle urne, facendo il paragone con le politiche dello scorso febbraio.

Tutti hanno perso voti tranne il Pd. Ma da che parte sono venuti i consensi che hanno determinato il successo? Da Forza Italia non più di 300mila; da 5 Stelle 400mila. Poca roba. Dai residui del centrismo montiano circa un milione. Ma due milioni sono arrivati da ex democratici che alle elezioni di febbraio si erano rifugiati nell’astensione perché non credevano più nel loro partito allora guidato da Bersani. Domenica scorsa hanno capito la gravità della situazione e sono tornati a casa. Succede di rado e il merito di Renzi è stato questo, ha recuperato i democratici scoraggiati e arrabbiati. È difficile capire se fossero democratici moderati o di sinistra. Probabilmente dell’uno e dell’altro colore, è un partito plurale e questa è la sua forza.

Luciana Castellina sul Manifesto di qualche giorno fa ha scritto che il Pd somiglia molto al partito democratico americano dove la sinistra “liberal” convive con molti gruppi decisamente conservatori specie negli Stati del sud. Ha ragione, anche se il Pd americano ha un’impronta decisamente innovatrice e progressista. Del resto un’analoga convivenza di segno opposto avviene nel partito repubblicano.

Un’altra caratteristica di quei partiti è che si identificano in un leader carismatico che, in caso di vittoria, diventa presidente e leader di tutto il paese.

Sullo stesso Manifesto un personaggio di sinistra come Alberto Asor Rosa aveva dichiarato il suo favore a votare Renzi. Un altro esponente della sinistra storica del Pci, Alfredo Reichlin, ha scritto ad elezioni avvenute che la vittoria di Renzi è un fatto positivo e l’ha incitato a fare del Pd il partito della Nazione e dell’Europa; Renzi lo ha citato nelle prime righe della relazione letta alla direzione del partito dopo la vittoria.

Cito alcuni di questi interventi perché rappresentano la complessità della situazione. Siamo uno dei paesi europei che la crisi in corso ormai da sei anni ha devastato economicamente e socialmente suscitando negli italiani e specialmente nei giovani frustrazione e rabbia. Potevano incanalarsi verso una disperazione distruttiva oppure verso una speranza costruttiva. Hanno scelto la seconda. Per questo oggi siamo contenti. Una notevole massa di italiani si è dimostrata all’altezza della situazione. Ma il bello, anzi il difficile, viene adesso. Per Renzi, per l’Italia, per l’Europa. Ed anche per noi che di mestiere siamo testimoni del tempo che passa.

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Un difetto di quelli che aspirano alla leadership (di un partito, di un’azienda, di un paese) spesso è l’arroganza. Un altro possibile difetto è la demagogia. Sono difetti abbastanza diffusi in chi ricava soddisfazione dal guidare gli altri e Narciso è il personaggio mitologico che meglio li rappresenta.

I leader di questa fatta sarebbe meglio evitarli, ma è frequente il caso, specie nella storia d’Italia, che siano proprio loro i preferiti. Sanno sedurre e noi siamo un popolo che ama esser sedotto. Talvolta ne ricava anche qualche vantaggio personale perché ci sono molti furbi tra noi. Molti furbi e poco intelligenti nel senso dell’ intelligere.

Renzi una dose di narcisismo ce l’ha. Anche Grillo. Berlusconi non ne parliamo. Renzi però ha anche un innato senso della politica, cioè una visione del bene comune. Se quella prevale, Narciso viene richiuso da qualche parte e fa meno danni. Ogni tanto emerge, ma questo è normale ed è anche utile entro certi limiti. Se tutti riuscissimo ad anteporre il bene comune all’amore verso noi stessi che peraltro è legittimo, il mondo andrebbe di colpo assai meglio. Purtroppo non è così e siamo quasi tutti i giorni alla prova in questo difficilissimo confronto.

Anche Renzi e il suo partito sono alla prova. Direi su due punti. Il primo è l’essenza stessa del partito, nato come riformista ed erede della sinistra democratica. Renzi oltre che presidente del Consiglio è anche segretario del partito, ma ha bisogno per ovvie ragioni di delegare a qualcuno il compito di accudire il partito. Con quale obiettivo? Che non sia – come invece si sta profilando – un partito personale di Matteo Renzi. Forza Italia è un partito personale, i 5 Stelle sono un partito personale anche se qualche fremito per liberarsi dalla servitù al binomio Grillo-Casaleggio si avverte, ma è provocato da una sconfitta. Molto più difficile che ciò avvenga dopo una vittoria di inconsuete proporzioni. Eppure è necessario, altrimenti ci sarà un mutamento antropologico e non più una sinistra democratica.

Ho letto ieri sulla Stampa un’intervista che Renzi ha dato ad un gruppo di giornalisti. Ha detto varie cose di comune buonsenso già note al pubblico italiano, ma ne ha detta una che mi ha colpito: «Vorrei lasciare a mia figlia che sarà maggiorenne tra dieci anni un paese tranquillo e felice». Tra dieci anni? Due legislature? Ha ragione di augurarselo, Renzi, se avrà a sostenerlo un partito che lo giudichi per quel che fa o non fa, se lo fa bene o lo fa male; lo premi se il giudizio è positivo e lo sostituisca se è negativo.

Quindi deve delegare a qualcuno il compito di restituire il partito a se stesso. Di questo qualcuno si deve poter fidare, ma non può essere qualcuno dei suoi pulcini di antica o di recente covata. Deve fidarsi della sua onestà politica e intellettuale purché non sia della covata, altrimenti sarebbe del tutto inutile.

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L’altra questione, di cui ho già più volte parlato, è la riforma del Senato. Ne riparlo dopo aver letto i contributi al seminario cui furono invitati dallo stesso Renzi: Elena Cattaneo, senatrice a vita, Gustavo Zagrebelsky e Alessandro Pace. Ho letto anche nel frattempo la legge che istituì il Bundesrat che è il Senato dei Lander della Germania e quella che rimodernò da cima a fondo la Camera dei Lords, varata nel 1999 da Tony Blair allora premier del Regno Unito.

Ne ho tratto le seguenti conclusioni. Il Senato delle autonomie voluto da Renzi con apposita legge costituzionale che dovrebbe andare tra pochi giorni in discussione all’attuale Senato è a mio avviso una riforma profondamente sbagliata. In Germania i Lander hanno una radice storica, sono di fatto gli antichi regni della Germania confederata: la Renania, la Westfalia, le città Anseatiche, la Sassonia, il Brandeburgo, la Baviera. I Lander hanno una storia secolare e spetta al Bundesrat controllarli e al tempo stesso rappresentarli.

In Italia questo problema è di tutt’altra forma. Le nostre Regioni sono istituzioni amministrative e la loro autonomia è amministrativa. I Comuni, quelli sì, hanno una storia e rivalità tuttora molto accese tra loro e più vicini sono più le rivalità aumentano.

Un Senato che si occupi di questi Enti locali, ne controlli l’efficienza e le modalità con cui operano e ne arbitri i conflitti tra loro e con lo Stato e adempia soltanto a questa funzione e a pochissime altre (la nomina di due giudici costituzionali e l’intervento al plenum che elegge il Capo dello Stato) equivale all’instaurazione di un potere legislativo monocamerale. Ciò comporterebbe una serie di riforme costituzionali, per ripristinare un equilibrio democratico, che non possono essere effettuate con l’articolo 138 della Costituzione. Richiederebbe, secondo me, una Assemblea costituente. Vi sembra possibile nei tempi attuali un fatto del genere? La Camera dei Lords è tutt’altra cosa. I Lords sono nominati a vita dalla Corona su proposta del premier. Non ha molti poteri. Anzi, quasi nessuno. La Camera dei Comuni le trasmette le leggi affinché le valuti, le approvi, le modifichi o le respinga. Di solito le approva. Se le modifica, di solito i Comuni accettano. Se le respinge, i Comuni le mantengono in vita e l’approvano con votazione definitiva. Ma la Camera dei Lords emette pareri su qualunque argomento che ritenga importante ed affronti problemi delicati e attuali sui quali governo e Comuni dovrebbero intervenire. I Lords sono nominati perché rappresentano delle vere e proprie “eccellenze” nei campi della cultura, medicina, scienza, tecnologia, musica, arte, urbanistica. Insomma. la società civile al suo massimo livello. I suoi pareri sono molto ascoltati e assai spesso Governi, Comuni e organizzazioni private intervengono come i Lords hanno auspicato. Questo tipo di Camera alta va considerata con molta attenzione. 

Sarebbe nominata nel caso nostro dal Capo dello Stato e basata su rose di nomi proposte da Accademie, Università, parti sociali variamente scelte e indicate da una legge di riforma dell’attuale Senato della Repubblica che comunque dovrebbe continuare a chiamarsi così. Insomma, e per concludere, o si abolisce il Senato e si crea un organo che si occupi degli Enti locali, o si riforma la Camera alta lasciando che alta rimanga, partecipe delle funzioni del potere legislativo salvo quello di dare la fiducia al governo e di votare la legge di bilancio.
Vedremo Renzi alla prova, ma fretta non c’è perché per parecchi mesi avrà molto da fare in Italia e in Europa e lui lo sa. Deve puntare sul lavoro e la creazione di nuova occupazione, e deve puntare su un’Europa che consenta maggiore flessibilità finanziaria ai paesi che ne hanno bisogno e in prospettiva divenga uno Stato federale.


Per ora il Senato se lo tenga com’è e si limiti a togliergli il potere di fiducia al governo e basta così.

Eugenio Scalfari
da Repubblica.it

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