La Minetti rinnegata specchio del Cavaliere


HA RELEGATO Nicole Minetti, che fu la sua mezzana-sottana, al ruolo della strega, della maga Circe che lo aveva trasformato in maiale, pur non essendo lui un marinaio di Ulisse. Uscito dalle scene orgiastiche che frequentava da assatanato, Silvio Berlusconi rientra dunque in politica come un Fra Cristoforo pentito e compunto e spinge Nicole alle dimissioni da consigliere regionale della Lombardia. Nel ruolo del ricandidato redento vorrebbe liberarsi di lei come di un peccato subito. La debolezza di un giovane ultrasettantenne, la stecca di un tenore senza stile. E così il destino della Califfa, che Berlusconi fece eleggere nella lista bloccata di Formigoni, diventa lo stesso destino di Alfano, che sta a Silvio come il trota stava a Bossi, lo stesso destino di Emilio Fede e di tutti gli altri. E chissà quante e quanti ancora ne vedremo cadere in questa eterna commedia che per Berlusconi è la politica. Impresario teatrale, il Cavaliere assegna ruoli che sono sempre estremi perché ha un alto senso della comicità. E difatti la Minetti, che adesso per luiè la maliarda malafemmina, fu «la lady che, splendida, competente, studiosa, laureata con lode e con un inglese di madre lingua, permetteva alla Regione Lombardia di fare una bellissima figura con gli ospiti internazionali». Allo stesso modo Alfano si ritrovò ministro della Giustizia, delfino, candidato premier: l' uomo che fu quid per diventare ticket. E Fede fu il grande tele giornalista, Lavitola lo sherpa, Lele Mora il trimalcione... Ebbene, Berlusconi si è liberato di tutti loro come si è ora alleggerito di quattro chili di grasso. E le dimissioni della Minetti sono come la vendita di Ibrahimovic e Thiago Silva al Paris Saint-Germain per 150 milioni in due anni, passaporti per la sobrietà di moda, come quella dieta sbandierata dai suoi giornali che lo raccontano smilzo e lesto al pari di un gatto, un aggiornamento dei finti capelli che Carlo Rossella gli metteva in testa truccando le foto di Panorama e degli album celebrativi di Alfonso Signorini. Insomma ancora un lifting che copre gli altri lifting, un' estrema mano di stucco su crepe mille volte stuccate. Secondo le indiscrezioni, Berlusconi ha offerto alla Minetti la conduzione di uno spettacolo televisivo in prima serata. Non sappiamo se la Circe di Arcore accetterà il declassamento, proprio lei che aveva dichiaratoa Repubblica: «Punto alla Farnesina». Sicuramente Silvio ha chiaro che, riportandola dalla politica attiva - «per te c' è un posto in Parlamento» le ripeteva - al "Colorado Caffè" dove la Minetti aveva esordito, ammette implicitamente la serietà delle imputazioni di induzione e favoreggiamento della prostituzione (anche minorile). La sola differenza rispetto ai pubblici ministeri, con i quali Berlusconi finalmente solidarizza nelle accuse alla sua Nicole ridotta a fattucchiera, è che quelli le prospettano la galera, mentre lui la vuole rinchiudere nel varietà televisivo. Ma ormai tutti sanno che le trasmissioni di risarcimento sono l' estrema risorsa che sta nel fondo del suo borsellino, l' ultimo pugno di granturco gettato ai tacchinie alle pollastre. E tra le colpe di Berlusconi c' è anche il terribile destino di una bella donna, il cui seno diventava maestoso per lui e le cui labbra si sporgevano generose per lui, come se fosse questo il destino delle belle donne italiane: finire nella mani di un ramarro. Berlusconi incontrò un' affascinante arrabbiata di Rimini, che è la città delle donne di Fellini, e la trasformò in una sboccata madame de Pompadour che sceglieva e «briffava» e «confessava» le favorite per meglio farsi favorire. La proclamò maitresse di Stato e la Minetti fu la lupa, la capobranco e l' istitutrice delle Ruby, delle Iris e di tutte le ragazze stacchetto, «trasvestite» da infermiere o poliziotte, tutte bambole sexy. La Minetti, come risulta dalle intercettazioni, si vestiva da uomo, una specie di Calamity Jane, oppure danzava nuda nel BerlusconiSatyricon. Di sicuro non aveva bisogno di passare di classe sociale come le altre ragazze che erano spinte dai fratelli e dalle mamme, tutte fiere del "mestieraccio" purché esercitato ad Arcore. La Minetti infatti chiamava Silvio «love of my life», era già in Consiglio regionale, amministrava appartamenti e beni immobili, il suo futuro era il ministero degli Esteri. Poi, quando scoppiò lo scandalo, Berlusconi si spaventò. Proprio la Minetti poteva diventare in tribunale la sua tomba, l' arma letale contro di lui. Depositata nelle intercettazioni c' era infatti la sua voglia implacabile di vendicarsi, quando il sogno di farcela come la Carfagna, «come Mara», divenne un incubo: «Qua la cosa si fa grossa. Sono nella merda seria più di tutti quanti».E dunque «per quel briciolo di dignità che mi rimane», per quel padre per bene che rimase ferito...E Berlusconi era «un pezzo di merda» e «quando si cagherà addosso per Ruby»e insomma «c' è un limite a tutto». E poi l' epigrafe più famosa: «È un culo flaccido». Invece Berlusconi ne riconquistò il sorriso e se ne assicurò il silenzio. Per lui la Minetti affrontò, con il coraggio che Berlusconi non ha mai avuto, la Boccassini, il tribunale, gli avvocati, l' esposizione ai giornalisti e ai fotografi che la trattarono da donna pubblica: «Ogni volta che mi fate una domanda è sempre su Ruby e sul gossip. Ma io di questa vicenda non parlo». Persino adesso, che non si presenta in tribunalee rivendica «il legittimo impedimento», lo fa con un sorriso sardonico, sottolinea e scandisce «legittimo impedimento» con uno sfottò ammiccante e quasi sexy a favore di telecamera, e non certo verso la Corte. Il suo «legittimo impedimento», infatti, non è una formula giuridica ma una citazione, e quel sorriso seducenteè «un mandarea dire», il messaggio di un' intimità sotterranea con il suo ex pigmalione, rispetto al quale giganteggia. La Minetti è stata a un passo dalla propria liberazione, poteva decidere il palinsesto, tornare alla decenza, pulirsi del crimine: «Io al massimo prendevo le contravvenzioni, ma non arrivavo a commettere reati». Non l' ha fatto.E non l' ha fatto per lui che, rinnegandola, adesso rinnega anche quel se stesso mozartiano e libertino al quale noi non abbiamo mai creduto ma che i suoi giornali hanno lungamente esibito componendo con lascivia corriva il più triste elogio del mascalzone della storia della pubblicistica italiana. La verità è che il satrapo lazzarone e gaudente, il Caligola orbo di crudeltà ma sazio di lussuria,è un vecchio sconfitto che non sa uscire di scena, non riesce a lasciare il palco e come in Amici miei atto terzo si ricovera nella naftalina, pur disprezzando i propri coetanei che ieri, in 150, all' hotel Ergife hanno inutilmente sperato di applaudirlo. Non c' è andato. Ha saputo che quella era claque reclutata in un centro anziani: «Basta con tutti questi vecchi». Eppure è solo da loro che può ora farsi eleggere a capo di una destra perdente da casa di riposo. Perciò con energia arzilla tradisce anche la Minetti. E per dimostrare il proprio pentimento, come i vecchi sporcaccioni del Seicento, implicitamente l' accusa di essere l' organizzatrice dei diabolici sabba notturni di Arcore e poi, assumendosi il ruolo di giustiziere, la brucia nel pubblico autodafé delle dimissioni. Manca solo che dia l' incarico al ragioniere Spinelli di far radere al suolo l' Olgettina per erigere al suo posto una colonna infame.

FRANCESCO MERLO
da Repubblica.it

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