Norme severe, ma i finanziamenti restino pubblici

La campagna populista. Il messaggio è: tutti i partiti sono uguali e vanno tutti chiusi

E' necessaria una svolta nelle regole che governano il finanziamento dei partiti. Il progetto di legge presentato da Pd, Pdl e Terzo polo è un primo passo molto importante, che va nella direzione indicata da Pier Luigi Bersani: un intervento immediato di radicale revisione dei meccanismi di trasparenza, controllo e sanzionamento, per poi procedere ad una riforma complessiva dei partiti in attuazione dell'articolo 49 della Costituzione.
Per questo il Pd ha sollecitato rigorosi controlli sui rendiconti 2011, rinviando se necessario l'erogazione della rata di luglio dei rimborsi elettorali. Per questo nella proposta depositata alla Camera sono previsti la certificazione obbligatoria dei bilanci, una nuova autorità indipendente di controllo, sanzioni severe per chi viola le regole, la pubblicazione in Internet dei bilanci dei partiti, la drastica riduzione della soglia oltre la quale le donazioni private sono soggette a pubblicità. Questa riforma, se approvata, renderebbe la normativa italiana la più severa d'Europa. Con buona pace dei commentatori «benaltristi», che in questi anni sui costi della politica hanno costruito un redditizio genere letterario ma poco o nulla hanno proposto su questi temi cruciali. Per un partito vero come il Pd, che non ha tesoretti né debiti, non compra immobili, non investe in Tanzania, ha i conti in equilibrio e usa le proprie risorse fino all'ultimo euro per fare politica, i contributi pubblici hanno un ruolo essenziale. Innanzitutto perché ci rendono liberi: liberi dai condizionamenti di lobbies e finanziatori privati, che in altri Paesi dettano l'agenda della politica a prescindere dalla volontà popolare. Il sistema dei rimborsi elettorali indubbiamente va profondamente rivisto: bisogna ridurne progressivamente l'entità, peraltro già fortemente tagliata negli anni più recenti, e ripensarne le regole. Spazzare via ogni contributo pubblico sarebbe invece un errore drammatico, che consegnerebbe la politica definitivamente nelle mani dell'ennesimo miliardario di turno.
I costi che il Pd sostiene per fare politica sono alla luce del sole. I nostri conti sono su Internet: chiunque può leggerli in ogni momento, chiedendoci conto di come ci procuriamo le risorse e dove le spendiamo. I nostri bilanci sono sin dalla nascita del Pd certificati da una primaria società internazionale di revisione. Da quest'anno abbiamo esteso la certificazione anche ai bilanci delle nostre strutture regionali.
Ai populisti di destra e di sinistra tutto questo evidentemente non interessa. Devono fare passare un messaggio tanto strumentale quanto infondato. Il messaggio che i partiti, in fondo, sono tutti uguali: o imboscano i soldi dei cittadini, o li sperperano senza ritegno. Uguali a prescindere dal fatto che rispettino le regole o le calpestino. Uguali a prescindere dal fatto che siano un corpo vivo della società o partiti personali e familistici assoggettati al volere dell'uomo solo al comando. E tutti chiamati a fare penitenza o, meglio, a togliersi di torno.
Il loro obiettivo non è favorire il rinnovamento dei partiti: è chiuderli. Ma se le cose stanno così, devono dirlo chiaramente. Senza finzioni e senza ipocrisie. In molti, di questi tempi, saranno d'accordo. Noi no. Perché l'Italia non ha bisogno di «segnali», buoni per fare i titoli del giorno dopo. L'Italia non riparte dall'azzeramento dell'esistente. 
All'Italia servono riforme, a partire da quelle necessarie per rendere i partiti più trasparenti, più sobri, più autorevoli. Questo è il punto, se vogliamo battere i demagoghi e riannodare il filo spezzato della fiducia dei cittadini nei confronti della politica.

on. Antonio Misiani
Tesoriere Nazionale Partito Democratico

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