ORDINE DEL GIORNO NO ALL’ITALIA SENZA LE PROVINCE

Pubblichiamo l'odg NO ALL'ITALIA SENZA PROVINCE così come approvato dal Consiglio provinciale il 31.01.12.r

ORDINE DEL GIORNO

NO ALL’ITALIA SENZA LE PROVINCE
Riunione straordinaria dei consigli provinciali
31 gennaio 2012

Il Consiglio provinciale,
riunitosi il 31 gennaio 2012

Premesso che

la grave situazione economica e finanziaria, in particolare conseguente all’elevato debito pubblico italiano accumulato negli anni, impone che tutte le istituzioni si facciano carico dell’equilibrio dei conti pubblici e, allo stesso tempo, di rilanciare la crescita del Paese;
che solo attraverso l’impegno e il concorso di tutte le istituzioni della Repubblica è possibile coniugare risanamento, equità e crescita in una prospettiva di coesione sociale e territoriale;
che l’Italia ha oggi bisogno di un profondo processo di riordino istituzionale con un percorso di riduzione degli sprechi nella spesa;
che il Parlamento il 28 dicembre 2011 ha approvato in via definitiva la legge di conversione del decreto legge 201/2011 che contiene, nell’art. 23, commi 14 – 22, disposizioni che prefigurano uno svuotamento dell’istituzione Provincia, fino alla scomparsa della stessa;

Considerato che
il Governo ha definito e varato norme che impattano direttamente su istituzioni che la Costituzione considera come elementi costitutivi della Repubblica senza prevedere, anzi volutamente escludendo, qualunque forma di confronto e preventiva condivisione con i rappresentanti delle Province;
che l’articolo 23, commi 14 – 22, dal punto di vista del merito, è palesemente in contrasto con i principi e le disposizioni costituzionali che disciplinano i rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali ed, in particolare, gli articoli 5, 114, 117 (comma 2, lettera p) e comma 6), 118 e 119 della Costituzione ed è, altresì, incongruente con i principi generali e con la disciplina degli enti locali del nostro ordinamento;
che la norma, lungi dal consentire risparmi - come indicato espressamente dalle relazioni tecniche della Camera e del Senato, che non hanno ritenuto di potere quantificare alcuna cifra dai risultati delle misure stesse - produce notevoli costi aggiuntivi per lo Stato e per la Pubblica amministrazione, ingenera caos nel sistema delle autonomie e conseguenze pesanti per lo sviluppo dei territori;
che la norma non tiene minimamente conto dell’aumento della spesa pubblica, pari ad almeno il 25% in più, che si avrebbe dal passaggio del personale delle Province (56.000 unità) alle Regioni o dal trasferimento di competenze di area vasta ai Comuni;
che il decreto non considera l’impatto che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle Province (12 miliardi di euro secondo gli ultimi dati del Siope) avrà sui bilanci e sull’organizzazione delle Regioni e dei Comuni già oggi gravati dalle difficili condizioni di sostenibilità del loro patto di stabilità;
che il decreto non considera la difficoltà a computare e trasferire il patrimonio e il demanio delle Province: 125.000 chilometri di strade, oltre 5.000 edifici scolastici, 550 centri per l’impiego, sedi, edifici storici, partecipazioni azionarie dotazioni strumentali, ecc.;
che la norma impone una modifica della normativa tributaria, poiché le entrate tributarie, patrimoniali e proprie delle Province dovranno passare in quota parte a Regioni e Comuni per garantire il finanziamento delle funzioni, proprio nel momento in cui si stanno verificando le condizioni per il passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard nelle Province attraverso l’attuazione delle norme sul federalismo fiscale;
che la norma avrà effetti devastanti sulle economie locali, poiché produrrà il rallentamento se non addirittura il blocco totale degli investimenti programmati e in corso delle Province, perché i mutui contratti dalle Province, nei casi in cui questo fosse possibile, dovrebbero essere spostati alle Regioni o alle altre amministrazioni locali, e che ostacolerà i diversi progetti, anche pluriennali,
finanziati dai fondi strutturali Ue o da sponsor o fondazioni bancarie in cui sono impegnate le Province, con il serio rischio di interrompere la gestione delle attività e dei connessi importantissimi flussi di spesa;
che la Provincia di Lecco crede fermamente nel proprio operato come fattore di sviluppo e tutela del territorio, valorizzazione del ruolo dei cittadini, singoli o associati, del privato sociale, delle aziende e dei diversi esponenti della società civile costituendo dalla propria fondazione un esempio di amministrazione utile e virtuosa;
che in Provincia di Lecco, in un’ottica di servizio al proprio territorio ed assoluto contenimento della spesa, gli emolumenti percepiti dagli amministratori sono fissati al minimo normativo;
che la Provincia di Lecco, a fronte di pesanti vincoli e ristrettezze di bilancio, ha sempre onorato i propri impegni economici con gli operatori del territorio, anche assumendo nel 2010 la responsabile decisione di non rispettare il patto di stabilità, divenendo fidato stimolo alla crescita, considerando la tutela dell’impresa locale un bene comune da salvaguardare;
che la Provincia di Lecco, con importanti piani infrastrutturali è divenuta fattore di sviluppo e con il sostegno all’università ed alla ricerca nel territorio ha posto le basi per le nuove e future generazioni;
che a fronte di molte Province che costituiscono Enti virtuosi, tuttora sussistono amministrazioni che per costi, personale ed inefficienza non sono funzionali al territorio e dunque gravano sull’intero sistema Paese;

approva il presente Ordine del giorno.
La Provincia di Lecco chiede alla Regione Lombardia la chiusura delle sedi decentrate in una ottica di contenimento dei costi della spesa pubblica destinando i risparmi conseguiti alle relative Province per i propri interventi.
La Giunta Provinciale di Lecco si impegna entro la fine di mandato di proporre al Consiglio la modifica dello Statuto in ordine alla riduzione del numero degli Assessori come previsto dalla Legge n.148/2011 e presentare un progetto di razionalizzazione della struttura organizzativa finalizzato al contenimento della spesa dell’Ente.
La Provincia di Lecco richiede al Governo e al Parlamento di approvare una riforma organica delle istituzioni di governo di area vasta che sia basata sulle seguenti priorità:
1. Intervento immediato di razionalizzazione delle Province attraverso la riduzione del numero secondo criteri demografici e dimensionali: la riorganizzazione dovrà essere effettuata in ambito regionale, con la previsione di accorpamenti tra Province, mantenendo comunque saldo il
principio democratico della rappresentanza dei territori, con organi di governo eletti dai cittadini e non nominati dai partiti.
2. Ridefinizione e razionalizzazione delle funzioni delle Province, in modo da lasciare in capo alle Province esclusivamente le funzioni di area vasta.
3. Ridefinizione degli impegni di stabilità di bilancio dei singoli Enti che premi le amministrazioni virtuose ed incida concretamente sugli Enti cui la spesa esula dai criteri di economicità, efficienza ed efficacia.
4. Istituzione delle Città metropolitane come enti per il governo integrato delle aree metropolitane.
5. Riordino delle amministrazioni periferiche dello Stato, legato al riordino delle Province.
6. Destinazione dei risparmi conseguiti con il riordino degli enti di area vasta ad un fondo speciale per il rilancio degli investimenti degli enti locali.
7. Un serio intervento di federalismo fiscale che consenta ai cittadini di sostenere tributariamente il “giusto” per i servizi ricevuti e vengano finalmente responsabilizzati gli enti per le spese effettuate.

Per conseguire questi obiettivi la Provincia di Lecco individua i seguenti strumenti:
l’approvazione urgente di una norma - nella legge di conversione del Decreto Legge 29 dicembre 2011, n. 216 “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative” - che superi l’ipotesi del commissariamento delle Province che dovrebbero andare al voto nella primavera del 2012 e che consenta di prorogare la scadenza degli organi democraticamente eletti fino all’approvazione di una riforma organica delle Province;
l’immediata approvazione della Carta delle Autonomie, per definire “chi fa che cosa” ed eliminare i costi e le disfunzioni prodotti dalle duplicazioni delle funzioni e per razionalizzare l’intero sistema
istituzionale locale, in attuazione dei principi previsti dal nuovo Titolo V, parte II, della Costituzione;
la rapida approvazione delle proposte di riforma costituzionale attualmente depositate presso la Camera dei Deputati sul riordino delle Province e delle Città metropolitane, per assegnare alle Regioni un ruolo centrale nel dimensionamento di tutte le istituzioni territoriali.

Il Consiglio provinciale dice no ad un’Italia senza Province perché:
· Aumenterebbe la burocrazia e verrebbero umiliate, anziché promosse e sostenute, le autonomie locali.
· Diminuirebbe l’identità locale fatta di storia e cultura.
· Le Istituzioni si allontanerebbero dai cittadini.

Il Consiglio provinciale chiede:
· ai Parlamentari del territorio di farsi promotori in Parlamento di iniziative volte a garantire l’esistenza delle Province intese come strumento di partecipazione democratica dei cittadini nel governo del territorio, ovvero volte alla creazione di un Ente di area vasta che sia di collegamento tra comuni e regioni, democraticamente eletto, che possa esercitare anche quelle funzioni oggi svolte da molti enti intermedi strumentali di dubbia utilità;
· al Governo ed al Parlamento di attuare un’organica riforma dello Stato in senso federale, nel rispetto della Costituzione, che anche attraverso il principio della sussidiarietà possa garantire maggiore efficienza nei confronti dei cittadini ed una consistente riduzione della spesa pubblica;
· all’UPI di farsi promotore di una seria analisi autocritica nei confronti degli Enti al proprio interno che hanno amministrato in modo inefficiente incidendo negativamente sui servizi e sulla spesa dei cittadini italiani;
· all’UPI di farsi promotore di una cultura della rappresentanza come servizio, evitando che emolumenti non consoni al livello territoriale di appartenenza, incidano senza criterio sulle casse dell’Ente e trasformino il ruolo onorifico dell’eletto in una pretesa e remunerata “professione

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