Si puó ancora correggere

La manovra è pesantissima. Nessuno si illudeva che la serie delle riunioni preparatorie potesse alleggerirla. È il pegno degli italiani per attraversare la bufera finanziaria con la speranza di un esito positivo. Il premier Mario Monti ha presentato ieri sera con dignità la lunga lista di sacrifici che il suo governo chiede al Paese. Ma l’equità proclamata non si incarna nell’insieme delle misure, nonostante qualche opportuno aggiustamento dell’ultimo momento, come la sovrattassa agli “scudati” e il meccanismo di rivalutazione esteso fino alle pensioni di mille euro.
Non era facile trovare 24 miliardi nelle condizioni date. Tuttavia, il carico maggiore è ancora sulle spalle delle famiglie, dei ceti più deboli, delle classi medie. Della manovra d’emergenza l’Italia ha bisogno: per salvare se stessa, per salvare l’euro, per contribuire da oggi a correggere le politiche sbagliate dell’Unione europea. Ma questa manovra non può essere considerata come un vangelo. Il Parlamento dovrà correggerla, cambiarla, pur garantendo i saldi che da oggi costituiscono l’impegno del Paese nei confronti dell’Europa. Sarebbe sbagliato se il governo opponesse un rifiuto nel corso dell’iter del decreto alle Camere: la responsabilità dei partiti non può essere tenuta oltre il confine dell’emendabilità.
È un problema di sostanza, non solo di forma. La rivalutazione delle pensioni basse - quel principio per il quale la stessa ministra Fornero non è riuscita in conferenza stampa a trattenere le lacrime - va esteso oltre la soglia dei mille euro fino alle pensioni medie: in caso contrario si colpirebbe la povertà e si tirerebbe ulteriormente il freno dei consumi. Se il governo è riuscito finalmente a rompere gli argini sugli “scudati” - cioè sui detentori di capitali all’estero che hanno usufruito in passato del condono di Tremonti - che senso ha limitare la sovrattassa all’1,5%? Perché non chiedere come contributo di solidarietà quello stesso importo, il 5%, che allora costituì il premio scandoloso all’evasione? Probabilmente Monti è frenato dal timore che Bruxelles giudichi come un sotterfugio ogni misura una tantum: erano la specialità del governo Berlusconi e sono state la ragione del nostro discredito. Ma l’una tantum sugli “scudati” potrebbe sopperire oggi ad alcune carenze, in attesa che le riforme strutturali dispieghino i loro effetti. Potrebbe ad esempio integrare i redditi dei meno abbienti oppure finanziarie altri incentivi al lavoro, e dunque alla crescita.
Perché nelle misure, assolutamente necessarie, per alleggerire il peso fiscale del lavoro, il governo ha pensato solo alla defiscalizzazione dell’Irap e non anche a un corrispettivo sgravio in favore dei lavoratori dipendenti? Il taglio dell’Irap è una misura favorevole alla competitività delle imprese, ma può anche finire per rafforzare gli utili e spostare risorse dall’impresa alla ricchezza privata. In questo senso è buono il proposito di tassare maggiormente i proventi delle operazioni finanziarie e detassare gli investimenti in azienda. Ma la crescita ha bisogno anche di risorse redistribuite nelle classi medie e nelle famiglie: invece questa manovra è particolarmente pesante proprio con le Regioni e i Comuni, cioè con gli erogatori dei servizi sociali.
Il testo della manovra dovrà essere ancora ben valutato nei dettagli. Comunque, è evidente il bisogno di riequilibrio. La conservazione dell’aliquota Irpef al 43% - quella più alta - non appare giustificata. E, del resto, i grandi patrimoni restano troppo al riparo dal contributo di solidarietà, e certo non basta la tassa sul lusso per colmare questo deficit. La lotta all’evasione fiscale va condotta davvero senza quartiere: la tracciabilità delle transazione fissata alla soglia di mille euro è doppia rispetto a quella che chiedevano le stesse organizzazioni imprenditoriali. Sarebbe troppo se fosse un tributo pagato al partito di Berlusconi. Bisogna peraltro cominciare ad adottare il sistema delle comunicazioni all’Agenzia delle entrate sia degli elenchi dei fornitori-clienti, sia dei saldi dei conti correnti. Non si possono chiedere così grandi sacrifici a chi paga da sempre tutte le tasse e consentire ancora larghi margini di imbroglio.
Il patto di responsabilità nazionale che impegna i partiti a sostegno di Monti è legato ai tempi e ai saldi della manovra. Il Parlamento però resta sovrano nelle scelte di merito e nel giudizio sull’equità sociale. Mentre la Lega delira e il Pdl marca un opportunistico distacco, il centrosinistra deve battersi per migliorare il decreto. Non indebolirà Monti. Anzi lo rafforzerà nella sua missione di servizio al Paese e, speriamo, dell’Europa. Può darsi che si lamenterà chi credeva nel “governo tecnico” come fine e traguardo della politica: ma queste strane teorie è bene che siano presto abbandonate.

Claudio Sardo
da l'Unità

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