La battaglia Europeista

I primi passi del governo non sono stati veloci. La filosofia di Mario Monti - questo il premier ha spiegato ai suoi ministri - è raccontare dopo aver realizzato. Versione opposta della «politica del fare» berlusconiana. Certo, sulla nomina dei viceministri e dei sottosegretari sarebbe stato opportuno evitare la confusione e il ritardo.
Oggi tuttavia è la lentezza, anzi l’irrisolutezza, dell’Europa la frontiera della crisi che minaccia la moneta unica e la stabilità sociale nel Vecchio Continente. Berlusconi è stato un motivo di umiliazione per l’Italia e un moltiplicatore del pericolo sui mercati, misurabile, ahinoi!, con una aliquota aggiuntiva sui tassi di interesse. Ma ora che Berlusconi si è dimesso, l’Italia e l’intera Europa sono di fronte alla dura realtà, senza più alibi. O l’Europa è capace di fare rapidamente un salto verso un rafforzamento delle proprie istituzioni, verso politiche economiche e fiscali comuni, verso progetti integrati di crescita, oppure non resisterà alla pressione esterna. E nessuno si illuda di salvarsi da solo: senza Europa anche i Paesi più forti saranno meno forti.

Monti ha già acquisito il merito di aver posto anche le leadership tedesca e francese davanti alle loro responsabilità. L’Italia è tornata al ruolo che le compete nell’Unione, che non vuol dire essere cooptata in un direttorio a tre, ma spingere con proposte realistiche verso soluzioni «comunitarie». Ora però le decisioni non possono più attendere. Non si può rinviare alla riforma dei Trattati un mutamento di indirizzo della Bce, nel senso di un più esplicito contrasto alla speculazione contro i titoli degli Stati membri. La Germania chiede una più forte unione fiscale - che comporterebbe controlli più penetranti nella gestione dei bilanci nazionali - ma questa ulteriore cessione di sovranità deve passare attraverso istituzioni comunitarie, e non attraverso patti intergovernativi, come delineato nel pessimo piano franco-tedesco anticipato ieri da alcuni giornali. I contribuenti tedeschi hanno paura, ma senza le istituzioni dell’Europa anche il Bund rischia, come si è visto in settimana.
Le modalità operative di queste scelte sono tutte così complesse, da costituire esse stesse problema. Può darsi che sia necessario un supporto del Fondo monetario all’azione della Bce e del Fondo salva-Stati. In ogni caso, l’Europa deve dare prova di esistere come Unione effettiva. E soprattutto deve essere capace di rilanciare lo sviluppo, anche con progetti pubblici. Perché non sono i debiti degli Stati la ragione prima della crisi: è la crescita zero, è la mancanza di un banca centrale con i poteri della Federal reserve, è la debolezza della dimensione istituzionale unitaria dell’Europa. Il fallimento delle politiche adottate dall’Unione e dalla Bce in Grecia non può ripetersi: questa volta salterebbe in aria l’euro (e non pochi nel mondo si preparano al crac).

In questa partita l’Italia deve giocare a Bruxelles con prudenza, ma anche con decisione. Monti ha evitato a Strasburgo contrapposizioni con la Merkel e ora sarà chiamato a fronteggiare i nuovi piani. Ovviamente l’Italia dovrà anche fare i suoi «compiti a casa». Che non sono facili, né rinviabili. Il proposito di Monti di adottare la manovra aggiuntiva con il consenso sociale è la notizia in assoluto migliore e la più significativa in termini di discontinuità. Ma la prova decisiva sarà quella dell’equità: deve pagare di più chi ha di più, non si può caricare il peso sempre sulle classi medie e sulle famiglie più deboli, in ogni caso i sacrifici vanno orientati a politiche di crescita. Sì, verso la crescita e i giovani: i grandi assenti nel paradigma politico-sociale della destra in quest’ultimo decennio.
Per il centrosinistra la fiducia nel governo ha questi due perni: l’Europa e l’equità. Non tutto è nelle nostre mani. Ma non esistono governi tecnici, né governi di tregua. La battaglia politica non va in vacanza. La destra di Berlusconi accentuerà la polemica strisciante contro l’Europa e tenterà di scaricare sulle opposizioni di ieri le nuove misure anti-crisi: questo metterà in tensione l’equilibrio del governo e il suo rapporto di autonomia con i partiti. Per il centrosinistra l’interesse nazionale e l’integrazione comunitaria resteranno le direttrici politiche. Il governo Monti può avviare il lavoro di ricostruzione. Del resto, la prima partita europea si gioca in tempi così rapidi che il suo esito condizionerà il finale stesso della legislatura. Non solo il salvataggio dell’euro, ma anche la riforma elettorale (di «tipo europeo») diventerà poi condizione indispensabile perché Monti arrivi fino al 2013. E sulla linea europeista il centrosinistra dovrà cominciare a lavorare alle alleanze più importanti: quelle con i progressisti di Germania e Francia. Anche l’alternativa al centrodestra o avrà caratteri comunitari, oppure rischia di non avere sostanza.

Claudio Sardo
da L'Unità

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