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Visualizzazione dei post da agosto 22, 2010

Il lusso della sicurezza

Le parole si dicono, si ritirono, si fraintendono e si smentiscono, ma in qualche modo sono sempre significative. Sembra, si dice, si dice che si dica, che il ministro Tremonti abbia affermato che la legge 626 che tutela la sicurezza sul lavoro sia per un Paese come l’Italia un lusso che non possiamo permetterci. Prontamente smentita dallo staff del ministro come sempre succede. Non ce l’ho col ministro, ma questo è proprio il modo di pensare che ha provocato e continua a provocare tanti morti, invalidi e feriti sul posto di lavoro. È un modo di pensare che accomuna molti imprenditori, politici, amministratori ma anche lavoratori e sindacalisti. Pensare che lavoro significhi soltanto produzione e alla fine soldi. Il lavoro non è soltanto un modo come un altro per vivere, è un modo di vivere. È quello che ci organizza le giornate, è il posto in cui incontriamo la stessa gente tutti i giorni, e quello che raccontiano ai nostri quando torniamo a casa. Il lavoro è vita e la qualità del lav

La Costituzione dimezzata

Il Cavaliere è sempre più insofferente delle "forme" e dei "limiti" previsti dalla Costituzione Berlusconi ha detto chiaro e tondo che nel cammino verso le elezioni anticipate – qualora il piano dei “cinque punti” non riceva rapidamente la fiducia del Parlamento – non si farà incantare da nessuno, tantomeno dai “formalismi costituzionali”. Così lo sappiamo dalla sua viva voce: in Italia comanda solo lui, grazie alla “sovranità popolare” che finora lo ha votato. La Costituzione in realtà dice: «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Berlusconi si ferma a metà della frase, il resto non gli interessa, è puro “formalismo”. Quanti italiani avranno saputo di queste parole? Fra quelli che le hanno apprese, quanti le avranno approvate, quanti le avranno criticate, a quanti non sono importate nulla, alle prese come sono con ben altri problemi? Forse una risposta verrà dalle prossime elezioni, se si faranno presto e com

Ora un'alleanza per la democrazia e il nuovo Ulivo

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E' ora di suonare le nostre campane. Occorre l'impegno univoco di tutte le forze progressiste. Il consenso per il Cavaliere è ancora largo ma il rapporto tra promesse e realtà è sempre più labile. Dopo anni di illusione berlusconiana l'Italia continua a regredire sul piano economico e sociale e si allontana, alla luce di ogni parametro, dai paesi forti dell'Europa. Nello stesso tempo l'impegno a riformare e a rafforzare le istituzioni repubblicane si sta trasformando in una deformazione grave della nostra democrazia. Ci si vuole trascinare ad un sistema dove il consenso viene prima delle regole e cioè delle forme e dei limiti della Costituzione; dove si limita l'indipendenza della Magistratura; dove il Parlamento viene composto da nominati; dove il Governo ha il diritto all'impunità e ad una informazione asservita e favorevole; dove si annebbiano i confini fra interesse pubblico e privato. I segni di tutto questo li abbiamo potuti valutare in questi anni ber

Bipolarismo al governo

Per Bossi, Casini è uno stronzo. Per Casini, invece, Bossi è un secessionista trafficone di banche. Per Berlusconi, Fini è un traditore. Per Fini, viceversa, Berlusconi è un illiberale intollerante. Eccoli qua, quelli che nemmeno cinque anni fa stavano al governo tutti assieme. Quelli delle foto a mani giunte, tutti per uno e uno per tutti. Quelli che la coalizione è compatta, e gli altri sono divisi e litigiosi. Eccoli qua, finiti a stracci e dossier. Se nelle società complesse una delle principali qualità di un leader è tenere assieme un Paese e le sue diversità, i quindici anni di Silvio Berlusconi sono stati un fallimento indiscutibile e senza appello. Il Cavaliere lo sa, e per questo continua a coniare plurali politici. Inventa ogni giorno Squadre, Promotori e Comitati. Insiste, quando può, col partito dell’amore. Ma non può sfuggire alla sua condizione di sostanziale solitudine. Finora, va detto, l’esser percepito come ”solo” è stata parte della sua forza. Ma nelle società comple

Wall Street Journal: «Con Berlusconi l'Italia declina»

L'Italia sta declinando. E «immaginate che cosa potrebbero ottenere gli italiani se Berlusconi non tenesse le sue promesse di dinamismo ostaggio di una lotta politica senza esclusione di colpi». È la conclusione di un editoriale che il Wall Street Journal dedica oggi alla crisi politica italiana, intitolato «Circo Romano». Il principale quotidiano finanziario statunitense formula un giudizio impietoso sulla situazione del Paese dopo una sintetica ricostruzione della crisi in seno al Popolo della Libertà, con i contrasti tra il premier e il presidente della Camera Gianfranco Fini, e con l'ultimatum di Berlusconi sui cinque punti programmatici per l'esecutivo. «Intanto - si legge nell'editoriale - l'Italia declina. Gli elettori hanno eletto Berlusconi sulla promessa di ridurre lo Stato. E ciò che hanno ottenuto, invece, è una sfilata senza fine di voti di fiducia, scandali insignificanti, relativa stagnazione economica e burocrazia sclerotica. Per fare solo un esempio

Formalismi ad personam

Silvio Berlusconi ha mosso da tempo guerra ai “formalismi”. Ieri se l’è presa contro quelli “costituzionali”, così come ieri se l’era presa con gli uffici elettorali di Lazio e Lombardia, colpevoli di aver bocciato le sue liste per semplici vizi di forma. All’epoca i corifei del Cavaliere, Schifani in testa, chiedevano a gran voce di “badare alla sostanza”, e lo stesso premier si infuriava sostenendo che non si può decidere “in base a timbri tondi o quadrati”. Nulla di nuovo, anzi. E’ l’abc della sottocultura democratica berlusconiana. Solo c’è da chiedersi come mai il Cavaliere quegli stessi ”formalismi” li usi da quindici anni, dal primo all’ultimo, per mandare in prescrizione processi o differire le udienze che lo riguardano. Marco Bracconi

Melfi, la vergogna e la dignità

Mettiamo che abbia ragione la Fiat. Che Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli (i Bartali di oggi), i tre operai dello stabilimento di Melfi abbiano "sabotato" un carrello per evitare che durante lo sciopero chi era rimasto al lavoro potesse produrre. Mettiamo che abbia ragione Marchionne, che in Italia le regole siano troppo rigide, che non consentano all'azienda torinese di produrre a costi competitivi. Ma a tutto c'è un limite. Una sentenza di un giudice (comunista che sia) non può essere carta straccia. Neanche Berlusconi, neanche Previti erano arrivati a tanto. Neanche in "Novecento" di Bertolucci Burt Lancaster avrebbe osato tanto. Neanche le Fs di Mauro Moretti si sono mai sognate di appellarsi dopo le sentenze che davano ragione a quel "macchinista rompicoglioni" di Dante De Angelis e alle sue lotte contro "uomo morto" e per la sicurezza sul lavoro. La decisione di non far tornare al lavoro i tre operai delegati e

L’imbroglio dei contratti d’inserimento

Rosario è un giovane trentenne che ha scritto a questo giornale per esprimere il suo rammarico e anche il suo stupore. Oggi è un disoccupato come tanti ma fino a qualche tempo fa era in possesso di un “contratto d’inserimento” presso la Esselunga, la potente società di supermercati. Un lavoro e un contratto che alludevano a un futuro e a una stabilità. Sarebbe stato “inserito”, dopo diciotto lunghi mesi, nel mondo desiderato dei posti fissi. Non è andata così. La Esselunga, allo scadere di quei fatidici diciotto mesi, gli ha spedito una cortese lettera di ringraziamento “per la fattiva collaborazione”. Nello stesso tempo i cosiddetti “datori di lavoro” (così si chiamavano un tempo ma ora bisognerebbe capovolgere il termine) comunicavano la fine del contratto. Come mai si è chiesto Rosario? “Avevo pensato che la mia disponibilità e flessibilità avesse sortito l’effetto di una trasformazione del suddetto contratto con uno a tempo indeterminato”. Aveva lavorato, spiega, anche! tredici ore

Dalle stelle alle stalle

A un certo punto, era il 10 agosto, ho avuto la sensazione che avessimo già perso: non per i sondaggi negativi (quelli sono negativi sempre, anche quando si vince); non per le baruffe fra Vendola e Bersani, vendoliani e bersaniani, Di Pietro e Resto del Mondo, il mio coté movimentista e il mio coté politicista, più Casini, su come gestire l’imminente implosione della maggioranza evitando la conseguente disintegrazione della minoranza. Quelli erano gli ordinari afrori di disfatta che ci accompagnano da sempre. Ma il puzzo più acre l’ho avvertito la notte di San Lorenzo, quando dal cielo catodico sono piovute due luminose sentenze: «Berlusconi doveva cacciarlo subito (Fini, nda)» e «Bisogna andare al voto». Non era l’insolente e perentoria sicumera con cui Bossi le emetteva a farmi sentire l’odore della sconfitta. Ma il fatto che il ministro le sparasse all’eliminatoria di Alassio di Miss Padania: e che tutti, me compreso, trovassimo la cosa normale. Enzo Costa

Il patto con Bossi lo distruggerà

Ma Berlusconi è a favore del federalismo? La risposta è: né sì né no. Infatti l’unico governante nella storia di questo paese che potrebbe attuarlo, ne è del tutto disinteressato. Lo ha semplicemente barattato in cambio delle leggi che gli servivano. In questo consiste il patto di sangue con Bossi. Soltanto Berlusconi poteva fare un accordo così spietato e ignorante delle conseguenze: perché nessun altro sarebbe completamente disinteressato alla cosa pubblica. Ma il federalismo – almeno questo imposto dalla Lega – nessuno lo vuole. Non lo vuole la sinistra, non lo vuole Casini (uno dei motivi principali per cui si è sfilato), non lo vuole Fini (il motivo principale per cui è andato allo scontro). Infatti la Lega è al governo da molti anni, è sempre stata vicinissima al conseguimento del risultato, e di nuovo è costretta a chiedere un altro voto per cercare di avere il bottino pieno. Ogni volta, però, gli alleati sono di meno.Il federalismo è una cosa seria, di cui si dovrebbe discutere