I moderati in politica sono i rivoluzionari più credibili

La questione del ruolo del popolarismo e dei moderati (a cui do il successivo significato) nel PD non è una occasione per costituire una corrente, né per lamentarsi o rivendicare qualcosa, ma uno degli aspetti fondanti se si vuole mantenere il progetto iniziale di partito nuovo. Obbiettivo tenere insieme e innovare le culture storiche di partenza, ma soprattutto aprire a tutti quelli che non vengono dalle vecchie militanze politiche o perché giovani o perché nuovi all’impegno politico.
Il dibattito che facciamo oggi in occasione della festa del PD ad Osnago (
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Forse la sintesi del titolo dato alla giornata di oggi non è la migliore, ma penso che più del titolo valgano le argomentazioni ed i comportamenti personali e politici che a Lecco sono sempre stati chiari e coerenti con il progetto originario del PD. Quel progetto il PD non deve abbandonarlo ma rilanciarlo se vuole diventare forza di governo vincendo le elezioni. E’ in questo percorso che mi riconosco e per il quale mi batto senza fare finta di ignorare che c’è un sentiero da raddrizzare per non fare sbagliare direzione al progetto del PD.
Il popolarismo è una esigenza vitale per essere riconosciuti diversi dalla storica sinistra movimentista e dalla nuova destra populista. Il popolarismo viene prima dei popolari intesi come formazione politica (che Don Sturzo trasformò genialmente in un partito) e va oltre l’idea di farne una corrente (minoritaria peraltro) nel PD. Essere popolari significa fare una politica popolare cioè con il popolo e per il popolo, avendo presente le trasformazioni sociali, culturali, economiche che il popolo vive soprattutto nelle nostre zone brianzole e lombarde.
La Lega ha cercato (con successo finora) una scorciatoia trasformando in popolarità (del suo leader e del suo simbolo) il popolarismo. La ragione del suo successo, oltre che la scarsità di concorrenza nel settore, sta nel cavalcare le idee popolari per ottenere consenso ma senza governarle per trovare sbocchi ai problemi; anzi traendo vantaggio dal fatto che la colpa dei mancati risultati è sempre degli altri che di volta in volta sono i cattivi. E’ il più vecchio trucco che si conosca per fare politica e riesce per un periodo di tempo, poi la gente lo scopre e si sgancia. Perché succeda occorre una offerta politica (che per ora non si vede) capace di intercettare il cambio d’umore. La
Lega sa di essere alla fine del suo ciclo propagandistico ed ha bisogno di incassare al più presto quello che con ogni probabilità sarà il suo apice politico. Da qui la sua insistenza per tornare a votare al più presto. Il PD non può e non deve inseguire i leghisti sul loro terreno perché perderebbe in quanto la gente preferirebbe l’originale alla copia. Per riuscire a recuperare consenso invece dobbiamo passare più tempo con la gente anziché in tv, con i giornalisti, nelle università, nei salotti e soprattutto a discutere le nostre regole interne. I luoghi del popolo sono i mercati, le feste locali, i sagrati delle chiese e le piazze. Il PD lo fa già ma spesso con un atteggiamento da “educatore” più che da ascoltatore. Abbiamo l’abitudine di spiegare troppo e di ascoltare poco. Certo il modello elettorale non aiuta perché la selezione della classe dirigente è fatta per cooptazione dall’alto e quindi la catena di comando (e del consenso personale) va dall’alto al basso e non al contrario. Con il voto di preferenza nella scelta dei propri rappresentanti gli eletti tornerebbero a rispondere prima al collegio elettorale e poi alla Segreteria del Partito (come succede già per Sindaci,Presidenti di Provincia e Consiglieri regionali).
Vengo al secondo argomento del titolo: il ruolo dei moderati che in realtà sono i rivoluzionari più credibili, in quanto moderando il conflitto di interessi trovano quelle mediazioni che consentono di fare nuove conquiste e progredire. Mi pare molto meno credibile la rivoluzione che tra l’altro ognuno immagina a modo suo. Senza moderazione e moderati degenera la lotta politica e la democrazia perde. Nella cultura italiana ed in parte quindi anche in quella del PD, moderato equivale ad un negativo compromesso, mentre in realtà sono le mediazioni il sale della democrazia, casomai il problema è la trasparenza, la moralità e la condivisione nella ricerca della mediazione. L’alternativa a questo modo di intendere e fare politica è la ricerca dell’egemonia della maggioranza. In democrazia le maggioranze servono per decidere, ma non si può stabilire a maggioranza chi ha ragione e di solito quando le maggioranze sono troppo omogenee e durature cambiano fisionomia diventando oppressive.
A proposito del ruolo dei cattolici in politica vorrei ricordare che l’anno scorso era un tema trattato con fastidiosa sopportazione da molti anche all’interno del PD. L’esposizione mediatica del caso di Eluana Englaro e le delicate questioni del fine vita, trattate in maniera emozionale più che razionale o peggio, come ha fatto il Governo, in forma strumentale per ottenere un facile e poco credibile credito sulle sponde vaticane del Tevere; avevano amputato l’attenzione sul tema dei cattolici in politica. Morta Eluana e messo da parte il tema etico, i problemi restano e sono pochi oggi quelli che lavorano per trovare faticose mediazioni.
La ripresa estiva del dibattito sull’importanza del ruolo dei cattolici in politica mi pare dettata da una parte dalla percezione che la situazione politica ed elettorale si è rimessa in moto ed il disfacimento del berlusconismo richiede un aggiornamento circa la possibile collocazione futura del loro voto politico. Dall’altra parte mi pare esista una maturazione un po’ più adulta, circa l’importanza ed il peso dei cattolici sulla scena sociale e culturale italiana. Molto interessante su questo tema quanto scritto da De Rita sul Corriere della Sera dello scorso 31 agosto, cioè da uno studioso della nostra società sulla cui competenza nessuno discute. Dopo avere denunciato la superficialità con la quale si parla della realtà cattolica italiana con la quale peraltro si vorrebbe dialogare; De Rita fa tre considerazioni che segnalo a quelli, credenti e non, a cui sta a cuore l’argomento e non solo il voto dei cattolici. Intanto esiste una dimostrabile “… fenomenologia quotidiana del popolo cattolico ...”. infatti:“… i partecipanti alle funzioni di quattro/cinque parrocchie dell’Umbria … equivalgono ai numeri dei rumorosi cortei che … attraversano Roma; e coloro che in quelle funzioni fanno la comunione sono più numerosi dei partecipanti ai vari reclamizzati raduni che ogni tanto occupano le piazze …“; “… ma l’importanza sempre più centrale del popolo cattolico la si riscontra sul piano qualitativo … visto che credere in qualcosa è oggi cosa rara e forse essenziale …”. Molto concrete le sue conclusioni (che anche il PD dovrebbe tenere maggiormente in conto) a proposito della “ emergente capacità del popolo cattolico di essere post moderno; cioè post industriale, post urbano, post mediatico, anche post secolarizzato, peraltro senza cadere in tentazione di una regressione verso nostalgie del passato, modelli identificatori consolidati …”. Per queste ragioni bisogna “ … lavorare sulla crescita del suo tessuto intermedio e delle sue dinamiche intermedie; vale per le gerarchie ecclesiastiche e per l’associazionismo ecclesiale, ma vale anche per chi vuole chiamarlo a responsabilità collettive magari anche politiche…”.
Al disagio questo popolo cattolico è abituato perché sa di essere scomodo, mi pare sinceramente quindi che il problema riguardi più quelli che non vorrebbero essere messi a disagio da questa scomodità che tra l’altro non si risolve con qualche posto al sole in più. Al tempo stesso bisogna sapere che non dare ascolto al disagio equivale prima o poi a farlo trasformare in dissenso e questo il PD non deve consentirlo Perciò mi auguro che il nuovo Ulivo di cui si parla serva a questo e non a tornare ai partiti dal pensiero unico.

Carlo Spreafico
Consigliere segretario dell’Ufficio di Presidenza
del Consiglio regionale della Regionale

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